Eventi di aprile

venerdì 11 aprile alle 18,00
alla libreria Pangea
Giorgio Boatti presenta il libro

"Un paese ben coltivato"
Laterza

«Ho cominciato a vedere quello che mi stava attorno e che non avevo mai guardato con attenzione: non era solamente la campagna. Erano i campi e quello che nei campi succedeva. Era la complicata faccenda, quanto mai antica e tuttavia sempre piena di novità e di imprevisti, del coltivare la terra.»

Un lungo viaggio, al passo con le stagioni: dal fondo della Calabria al triangolo del riso tra Po, Ticino e Sesia, dal distretto della fragola di Policoro alle serre di Albenga. E poi i frutti di bosco che dalle Alpi scendono alle metropoli, la sfida di un profeta con l'aratro nel cuore dell'Appennino, l'avventura del radicchio di Chioggia, il mais ottofile di Roccacontrada e le ciliegie pugliesi, rossi gioielli nel bouquet di un'agricoltura che in vent'anni ha cambiato volto. Dulcis in fundo l'uva da tavola che dialoga con gli internauti e un'irresistibile pomodorina partita da Melfi per conquistare Londra.
Con lo sguardo spiazzante di chi, digiuno di ogni sapere specialistico, è curioso di tutto, Giorgio Boatti racconta storie di persone che hanno scelto di ridare vita a cascine e masserie, di mettersi insieme per creare aziende radicate nella tradizione ma capaci di sfide innovative. Un affresco controcorrente in un paese dove, per abitudine, bisogna dire che tutto va male. Un percorso interiore in cui il disegno del paesaggio e della vita si confondono. Rivelano un'Italia con i piedi ben piantati per terra dove è all'opera un futuro che riguarda ognuno di noi.

Recensione del bravissimo libraio "Marco Polo" di Venezia:

Un paese ben coltivato di Giorgio Boatti
Il sottotitolo del libro è "Viaggio nell'Italia che torna alla terra e, forse, a se stessa".
Chi si aspetta di leggere un libro che riporti le migliori pratiche contadine e dia un resoconto esaustivo del mondo agricolo italiano, rimarrà deluso. All'inizio ero anch'io un po' deluso. Volevo sapere dei contadini, di cosa fanno, se stanno scomparendo o se riescono a resistere e come fanno e dove trovare i buoni esempi. Invece mi ritrovavo nelle pagine di Boatti che parla di contadini, saltando da una regione all'altra, da una coltivazione all'altra, ma parla soprattutto di sè, del suo viaggio, con divagazioni che, sulle prime, mi sono sembrate fuorvianti da quello che pensavo fosse il tema centrale del libro. Poi, andando avanti con la lettura, mi sono reso conto dell'errore nelle mie aspettative: cercavo un manuale sui contadini mentre quello che stavo leggendo è un diario di viaggio, un viaggio particolare alla scoperta o riscoperta del mondo contadino ma senza alcuna pretesa di esaustività e senza alcuna tesi da dimostrare: in questi casi, quando si parte per questi viaggi, il viaggio stesso ti cambia, e il viaggiatore non è un osservatore asettico di quanto gli capita intorno ma partecipa in modo attivo a creare la rappresentazione di quel che vede. Ecco che allora questo libro si trasforma e diventa molto più intereressante: riacquista la sua soggettività e ci dice che non è possibile scoprire il mondo contadino stando comodamente seduti sul divano leggendo un libro. Se devo riassumere in una riga questo libro, eccola: preparati uno zaino leggero e fatti un giro per le campagne, avrai un sacco di cose da imparare e tante persone da conoscere.

"Non ho certezze in proposito.
Sto solo cercando delle risposte, convinto che il presente serbi non poche sorprese nei suoi vari volti, e persino nelle contraddizioni e nelle brutture che più ci colpiscono. Il presente chiede, oggi più che mai, di essere osservato e descritto con attenzione, così da poterci riflettere su, prima di emettere vaticini e sottoscrivere sentenze.
[...] Vado per la penisola come stessi osservando un reperto ignorato, o a lungo mancante e poi ritrovato. Il compito comunque rimane lo stesso: capire il cammino che, al di là del brutto o del bello del presente, questo Paese potrebbe prendere. Per dirla in termini agricoli, questo non è proprio il tempo del raccolto ma piuttosto quello del dissodare il terreno e del seminare."

E il lettore a questo punto si affida a questo diario di viaggio che alterna le serre dove si coltivano i frutti di bosco ai terrazzamenti liguri di ulivi, le arance e il bergamotto della Calabria al mondo delle risaie e man mano che il viaggio procede il lettore impara a conoscere meglio il viaggiatore e il viaggiatore stesso impara a conoscersi meglio, come se questo viaggio alle radici del nostro essere ( da quante generazioni ognuno di noi ha abbandonato il lavoro dei campi?) lo arricchisse di esperienze e gli allargasse le vedute.

Ho cercato una cosa che accomunasse le varie realtà contadine descritte nel libro ma non è facile. Il suo vagare non è settoriale, non ci sono solo aziende agricole biologiche, giusto per fare un esempio. Alla fine, il tratto comune potrebbe essere la capacità di questi contadini di guardare sia avanti che indietro: non si spaventano anzi padroneggiano le tecnologie, comprendono appieno la necessità di differenziarsi, di proporre qualcosa di unico e dall'altra parte sono ben ancorati al territorio, consapevoli dell'importanza non solo economica di quello che fanno...

PS: non può che essermi simpatico uno come Boatti che quando viaggia va nelle librerie, compra libri e si mette a parlare con i librai, scoprendo che i librai sono nodi nelle reti di relazioni in quanto le librerie, ognuna con il suo stile, diventano luoghi di incontro e di scambio per le persone.

Giorgio Boatti, giornalista professionista e scrittore, è autore di numerosi volumi dedicati alla storia contemporanea e di narrazioni, ad esempio il romanzo Cielo nostro, Baldini & Castoldi editore, 1997, che si collocano in una originale terra di nessuno posta tra l'ucronia e la fictory.
Dopo la militanza politica svolta prima nella FGCI (dalla quale viene radiato perché nell'agosto del 1968 sottoscrive un documento di condanna dell'invasione della Cecoslovacchia da parte dell'Armata Rossa) poi in Lotta Continua, si impegna nell'organizzazione antimilistarista PID (Proletari in divisa), presente nei primi anni Settanta soprattutto nelle regioni poste al confine orientale dell'Italia.
In seguito, dopo essersi laureato con una tesi sull'inserimento dei volontari partigiani nell'Esercito, lavora in diverse università con Giorgio Rochat, il decano della storiografia militare italiana, e pubblica saggi su riviste specializzate su temi legati all'intelligence, allo spionaggio e alle organizzazioni della sicurezza. Nel 1979 entra nella redazione del quotidiano Il Lavoro di Genova e vi rimane sino al 1982. Diventato giornalista professionista sceglie, tra i primi, di operare da free-lance, collaborando a numerose testate.
A partire dagli anni Ottanta scrive costantemente sul quotidiano Il Manifesto e collabora come consulente con diverse case editrici. Con Oreste del Buono firma dal 1997 la rubrica Luoghi comuni che compare per quasi dieci anni, tutti i sabati, sul supplemento Tuttolibri del quotidiano torinese La Stampa.

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