Eventi di novembre

venerdì 7 novembre alle ore 18,00
seconda parte di
"La Conca di Asiago nelle fotografie panoramiche della Grande Guerra. A confronto con il paesaggio di oggi."
comunicazione con immagini di Claudio Rigon
introduce Sergio Frigo

La panoramica che apre l'articolo, conservata presso il museo del Risorgimento e della Resistenza di Vicenza, è austriaca, è stata scattata sul filo del tramonto dal bordo di una trincea a pochi passi dalla croce del Katz, una sorta di promontorio che, al centro della conca di Asiago, uscendo dalla corona di monti che la chiude a est, arriva ad affacciarsi fin quasi sopra il paese. Sono otto fotografie unite a fisarmonica, per un giro di orizzonte di centottanta gradi. Non sono grandi, ognuna è grossomodo delle dimensioni di una cartolina, qualcuna è più corta, qualcuna più alta, sono ritagliate non sempre ad angoli retti per far combaciare, nell'unirle l'una all'altra, le linee del paesaggio. Sono in qualche punto deteriorate, anche ingiallite, una è un po' sbiadita e un'altra, l'ultima, presa quasi controsole, così scura e impastata da essere praticamente illeggibile. Hanno un che di grezzo, insomma, eppure sta forse anche in questo la loro forza, si sente che c'è quasi una sintonia formale con quello che mostrano: la desolazione di una piana devastata, con quegli ammassi di pietre bianche dello scavo in primo piano sulla sinistra e quei reticolati con i pali piantati fitti e alla rinfusa, presenze che fanno velo e che sembrano relitti, cose morte, abbandonate. Sono fotografie che, soprattutto per chi conosce questo paesaggio, e lo ama, colpiscono duro, lasciano un segno.
Non hanno una data, e però sono spesso state considerate del 1916, vale a dire maggio-giugno del 1916, gli austriaci che invadono la piana di Asiago, la strafexpedition. Ma non può essere, me ne sono reso conto quando ho pensato di rifare a mia volta la panoramica: la luce di queste immagini, le ombre sopratutto, rimaste lunghe e radenti per il tempo lungo di ben otto fotografie - fatte con una macchina a lastre montata su cavalletto -, sono ombre invernali, di fine novembre, dicembre. Così ho provato a incrociare questo fatto con la presenza comunque degli austriaci nella conca, ma poi con la neve che ancora non c'è se non appena sulla cima del Grappa, e anche con la giornata limpida e tersa, è mi è parso di capire che tutte queste condizioni hanno avuto un'intersezione comune fra gli ultimi giorni di novembre, appunto, e i primi di dicembre del 1917, dopo sarebbe arrivata la neve. Era il momento, in Altipiano, del dopo Caporetto, la guerra che ritornava ad affacciarsi sulla conca, la seconda battaglia delle Melette e di monte Fior - i monti che si vedono nella seconda e un po' nella terza fotografia. «Pace finalmente, dopo il tambureggiare di tutto il giorno, e felice Porro che va all'ospedale, chè non lo intrappoleranno lui, come temiamo per noi» - scriveva Paolo Monelli guardando il sole che scendeva, la sera del 3 dicembre, due giorni prima di essere fatto prigioniero alla caduta di monte Fior - «Sul monte Grappa i bagliori del lungo bombardamento assumono una nitidezza di stelle sull'azzurro del monte, quasi spoglio di neve in questa ostinata primavera alleata del nemico». E sembra descrivere lo stesso momento della panoramica.
Il museo del Risorgimento e della Resistenza di Vicenza possiede, oltre a questa, altre quattro panoramiche della conca di Asiago (queste datate precisamente), sono riprese ognuna da un luogo diverso e in tempi diversi della guerra. Tutte e cinque, nel loro insieme, costituiscono quasi una sorta di TAC del paesaggio della conca, qualcosa che testimonia la sua trasformazione via via, in quattro anni di guerra. La prima, che è poi l'unica di parte italiana (sei grandi fotografie, di una nitidezza straordinaria), è del 4 agosto 1915 e mostra un Altipiano assolutamente intatto. La guerra è iniziata da due mesi e mezzo e sulla cima del monte Verena, che si vede proprio al centro, sul fondo, noi sappiamo che il forte è già un ammasso di rovine. Ma la guerra è ancora tutta solo al di là, dietro quel monte, sul confine, e nella conca non se ne avverte assolutamente la presenza: le mucche sono al pascolo; gli orti ben tenuti; i campi coltivati a grano, avena, orzo con la mietitura in corso; le case, le contrade, i paesi sono bianchi e lindi, il paesaggio luminoso. L'ultima, ripresa da una posizione austriaca, è del 19 maggio 1918 e mostra, anche rispetto alla panoramica dalla croce del Katz, un paesaggio ormai totalmente devastato.
Sono fotografie preziose. Anche perché, in Altipiano, che è sì vasto ma nello stesso tempo circoscritto, le tracce di quattro anni di guerra sono venute a intersecarsi e a sovrapporsi continuamente, così che quello che è venuto prima si confonde spesso con quello che è venuto dopo, compresso insieme in una sorta di contemporaneità. Se si vuole leggerle, le tracce di quei quattro anni, se si vuole restituire ad ognuna il suo momento, cercare di immaginare per ognuna il suo paesaggio, bisogna saper andare a ritroso, avere la capacità (e chi va a camminare per quel territorio lo sa) di un doppio, anche di un triplo sguardo. Tornare a separare, almeno mentalmente, strato da strato, ogni traccia, ogni memoria, da ogni altra che magari è lì a lato ma che può contenere una storia diversa, forse precedente, forse successiva. È stato certamente pensando a questo che, a un certo punto, mi sono trovato a guardare a queste panoramiche come a degli strati archeologici: la memoria di un luogo, di un paesaggio, di un territorio, depositata per strati, ogni strato datato con cura e fissato nei granuli d'argento di una serie di lastre fotografiche prima che si depositasse la successiva.
La decisione di rifarle è venuta poi da sé, dal bisogno di mettere a confronto, a distanza di ormai cento anni, i paesaggi di allora con quelli di oggi. Ma anche per fissarne a mia volta lo strato archeologico presente, perché rimanesse a memoria per chi verrà dopo, fra venti, cinquanta, cento anni. Più volte mi è infatti capitato di rammaricarmi, durante questo lavoro, del fatto che qualcuno non ci avesse pensato già in anni precedenti, per esempio in occasione del cinquantenario, nel 1965: che altra serie di documenti preziosi avremmo oggi, da mettere visivamente a confronto! Eravamo allora sulla soglia di un nuovo cambiamento di epoca, l'Altipiano del dopo la ricostruzione, tornato a vivere ma ancora antico, prima dell'arrivo del turismo di massa, delle seconde case.
Un'ultima cosa: della conca di Asiago esistono in realtà ben più di cinque panoramiche, capita a volte di vederne qualcuna esposta in altri musei del Risorgimento, o della guerra, grandi e piccoli. Ma presso l'IGM, l'istituto cartografico Militare di Firenze , sono conservate forse tutte quelle che sono state realizzate, e su tutto l'arco del fronte .Quando ho provato a fare una ricerca, e non in modo esaustivo, ne ho contate almeno un centinaio che interessavano le montagne vicentine, dal Pasubio all'Altipiano. Sono un bene inestimabile. Il paesaggio del Veneto e del Friuli - anche se, certo, solo quello limitrofo al fronte -, registrato puntigliosamente cento anni fa, la sua memoria e la memoria della guerra. Perché non trovare il modo, con l'IGM (una sorta di intesa, di unità di intenti, di complicità: la mappa che, in occasione del centenario, si ricongiunge al suo territorio) di ottenerne i files in uso, anche solo limitatamente alla visione al computer, che è comunque a questo fine la più efficace e potente, nei musei che sono nei luoghi di cui dicono le panoramiche? Potrebbero così diventare musei perciò anche del paesaggio, la guerra attraverso la memoria del paesaggio.
Claudio Rigon
(Articolo apparso sul numero monografico (n.69-maggio 2014) del notiziario bibliografico regionale dedicato alla Grande Guerra in Veneto. A cura di Lisa Bregantin)

Claudio Rigon è autore de I fogli del capitano Michel, Einaudi, Torino 2009, e di Passato presente. Sulle orme di C.D. Bonomo, fotografo: i cimiteri di guerra dell'Altipiano, Galla 1880 libreria editrice, Vicenza 2006

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