giovedì 25 maggio alle ore 18,00

alla libreria Pangea
Mariagrazia Salvador, traduttrice e curatrice, presenta

"Sopravvivere a Sarajevo"  

Bebert edizioni
introduce Auretta Pini


Sopravvivere a Sarajevo è un tassello preziosissimo nella costruzione di una memoria di un evento in cui la rassegnazione ha lasciato il posto alla resistenza culturale e creativa, una testimonianza per il futuro, che come i cittadini di Sarajevo riparta dalla sconfitta della paura e dalla riflessione su quello che l'uomo è stato in grado di infliggere all'uomo, nel passato come nel presente.

Sopravvivere a Sarajevo è uscito per la collana International di Bébert Edizioni. Il libro è la traduzione italiana dell’opera The Art of Survival, parte di un ampio progetto culturale del gruppo di artisti bosniaci FAMA Collection, teso a costruire una vastissima raccolta di fonti, testimonianze e documentazioni sull’assedio subito da Sarajevo tra il 1992 e il 1996, durante la guerra in ex-Jugoslavia. FAMA ha dato vita a un vero e proprio museo multimediale, a diverse mostre e pubblicazioni, tra cui l’ormai leggendaria guida Sarajevo: Survival Guide, redatta e pubblicata in pieno assedio, nel 1994. Sopravvivere a Sarajevo fa seguito proprio a quella pubblicazione: qui le voci delle persone raccontano in modo semplice e disarmante le loro strategie per continuare a mangiare, dormire, vivere, scegliendo la cultura come arma di resistenza.

"Stavamo facendo le foto per la copertina della nostra versione di LIFE magazine. L’edizione originale di LIFE del 1947 mostrava in copertina Elizabeth Taylor. Sulla nostra c’era Amra, che posava a -26°C. Abbiamo dovuto vestirla a strati perché resistesse al freddo durante il servizio fotografico."




Grazie alla straordinaria documentazione arricchita da foto dell’epoca e illustrazioni, il libro ci proietta nella vita di tutti i giorni di una città che si trova in uno stato di eccezione permanente: 1.395 giorni passati senza luce, acqua e gas, il più lungo assedio della storia contemporanea. I serbi guidati da Mladic e Karadžic dalle colline attorno alla città puntano su Sarajevo 260 carri armati e 120 mortai: un confine di 60 chilometri che conta 35 pezzi di artiglieria per ogni chilometro. Nella seconda guerra mondiale l'Armata rossa alle porte di Berlino ne contava 25.



"Quello era il tempo delle taniche, un tempo orribile. Si doveva andare al birrificio a prendere l'acqua. Era gelida, ti si congelavano le mani. Arrivavi a casa e non avevi niente con cui scaldarti. Se ti porti in spalla secchi d'acqua da quattro o cinque litri, arrivi a casa con la schiena fradicia. Con delle cinture avevo fatto delle cinghie da usare per trasportare le taniche. Così la mia famiglia poteva portarne più di una alla volta."



In questo scenario, ingegno, fantasia e condivisione diventano dei beni primari, e sopravvivere una vera e propria arte. Ecco che un barattolo di fagioli si trasforma in un fornello, un riflettore da palcoscenico in una stufa, gli aiuti umanitari dell’Onu sono gli ingredienti fondamentali di nuove ricette a base di erbe spontanee e l’olio da cucina un ottimo carburante con cui avviare vecchie Golf. Il tutto sotto l’occhio chirurgico dei cecchini che trasformano gli spostamenti in città in pericolose gare ad ostacoli in cui la posta in gioco è la vita stessa. In questo contesto, fare cultura diventa una vera e propria forma di resistenza, dalle università ai musei, passando per installazioni urbane e performance teatrali, la città continua a vivere un fermento che non si piega nemmeno davanti alla distruzione della sua famosa biblioteca.


"Abbiamo inaugurato il festival in tre teatri contemporaneamente. È durato dieci giorni: abbiamo presentato 140 film provenienti da tutto il mondo e ci sono stati circa 20 mila visitatori. Abbiamo ricevuto il supporto di registi famosi a livello internazionale, che ci hanno inviato i loro film su VHS. Abbiamo recuperato generatori e benzina per poter proiettare i film. La gente ha rischiato la vita affrontando gli spari dei cecchini per venire al cinema. Venivano in massa. C'era un'atmosfera incredibile."


Ciò che emerge in maniera dirompente dalla lettura di Sopravvivere a Sarajevo è come la cultura sia fondamentale quanto il pane e l’acqua, come uno spettacolo di teatro, un concerto, un incontro per parlare di cinema siano state ancore fondamentali per la sopravvivenza psicologica di persone annientate in una trappola fisica e mentale. Le voci di questo testo ci raccontano la forza dell'azione umana, mostrandoci come nei conflitti l’unica possibilità di sopravvivenza sia la costruzione di una comunità che trae linfa vitale dalla creatività e dalla resistenza culturale. Sopravvivere a Sarajevo costituisce un archivio del futuro, un monito al tempo presente sulla pericolosità dei nazionalismi, una questione oggi più che mai al centro degli equilibri europei: portare avanti la memoria di quelle carneficine è solo uno dei tanti modi per combatterli e prevenirne la degenerazione.

"Ogni mattina dovevo attraversare più di un incrocio. La domenica, quando andavo in onda con il programma del mattino, il mio saluto d’apertura era: «Buongiorno gente, ascoltatori vecchi e giovani, è fantastico, sono ancora vivo. Se anche voi lo siete, cominciamo»."