David Albahari è nato a Pec (Kosovo, Serbia) nel 1948.
E' uno scrittore serbo, emigrato nel 1993 in Canada. Laureato in letteratura inglese, il suo primo volume appare nel 1973, "Short Stories".
Di origine ebraica, i suoi romanzi contemplano sempre implicazioni politiche, derivanti dalla grande sofferenza con cui visse la dissoluzione della sua Patria e della sua lingua.
È autore di numerosi volumi di racconti: Tempo di famiglia (1973), Storie ordinarie (1978), Descrizione della morte (1982, Premio Ivo Andrić), Convulsioni nel magazzino (1984), Semplicità (1988), La morte di Ruben Rubenović (1989) La mantellina (1993, Premio Stanislav Vinaver), La morte di Ruben Rubenović, racconti, introduzione Milorad Pavić, traduzione di Silvio Ferrari, Hefti, Milano 1989.
Ha pubblicato inoltre diversi romanzi: Il giudice Dimitrijević (1978), Un breve libro (1993), L'uomo di neve (1995), Goetz e Meyer (Einaudi, 2006), L’esca (Zandonai, 2008), Zink (Zandonai, 2009), Ludwig (Zandonai, 2010), Sanguisughe (Zandonai, 2012).


Il buio
Un’ossessiva caccia all'uomo nella cupa atmosfera della Jugoslavia post-titoista
PP. 176 – Prezzo 15,00 €
Traduzione di Augusto Fonseca
Editore: Besa Muci
ISBN 9788836290260

È così, con ogni probabilità, che si scrivono i libri: nell’incertezza e nell’esitazione, non nell’affermazione di certezze. Di nuovo mi giungono voci orientali, ma il cuore non mi batte più così forte. Anche se qualcuno venisse a cercarmi, dubito che si mimetizzerebbe fino a questo punto. Stanotte, certamente, sognerò di essere una geisha.
Un uomo senza nome è rinchiuso da dodici giorni in un'anonima stanza d'albergo in attesa che il suo destino si compia. La sua vita è custodita in un manoscritto in cui egli registra, con maniacale precisione, innumerevoli dettagli, incontri, conversazioni, riflessioni, pensieri. In queste pagine, la voce narrante si mescola alle voci di una Storia ben più ampia, quella della Jugoslavia post-titoista, lacerata da conflitti sociali e da un’insanabile crisi politica e ideologica. E in quest’atmosfera cupa, densa di sospetti e di inganni, si svolge l’ossessiva caccia all'uomo, considerato potenziale nemico delle istituzioni. Un uomo obbligato a cambiare aspetto, città, abitudini. Un uomo che sussulta al minimo rumore, costretto a diffidare persino dei presunti amici.
Un uomo irriconoscibile a sé stesso, che riesce a ritrovarsi soltanto nelle parole, pazientemente redatte in attesa della fine. Alla scrittura, ancora una volta, si affida l'ultimo anelito di libertà, l'ultima possibilità di scampo prima di precipitare nel buio che tutto inghiotte.

L'esca
Editore: Zandonai
Anno di pubblicazione: 2005
Traduzione: Alice Parmeggiani

Da un vecchio e cigolante magnetofono torna a risuonare, a distanza di alcuni anni dalla sua morte, la voce di una donna. È l’io narrante ad aver inciso su nastro questa singolare intervista alla propria madre e quando ne riascolta le parole è ormai emigrato in Canada, dopo essere fuggito dal proprio Paese, la Jugoslavia dilaniata dalla guerra civile. Albahari tesse con straordinario talento narrativo una fitta trama di corrispondenze simboliche in cui il turbinoso destino di una famiglia ebraica e la testimonianza intensa e sofferta di una coraggiosa figura femminile – più che un angelo del focolare, quasi un angelo del dolore – vanno a comporre la biografia di un'intera nazione, fino al suo tragico disfacimento. E quando il narratore vorrà fare della propria madre la protagonista di un romanzo, ecco che il delicato rapporto fra realtà e finzione lo prende all'amo: la madre è anche la lingua madre da lui rimossa, le pagine rischiano di non essere mai scritte, e fra vita reale e vita immaginata si apre un implacabile confronto, lo stesso che oppone l’aspirante autore a un vero scrittore canadese, suo mentore e amico. Due “poetiche” differenti, due antitetiche visioni del mondo ‑ quella europea ostaggio della storia e quella nordamericana orgogliosamente priva di radici e di legami con il passato – rimandano entrambe alla possibilità di una lingua comune, che galleggia «in superficie, al limite dei mondi, al confine tra parola e silenzio».

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